Nel panorama della cucina europea, pochi piatti dividono quanto l’insalata russa. C’è chi la ama alla follia e chi la guarda con sospetto, spesso associandola a pranzi delle feste un po’ vintage. Eppure, questa preparazione a base di verdure e maionese ha una storia interessante, che affonda le radici molto più lontano di quanto si pensi.
Conosciuta in tanti Paesi con nomi diversi, l’insalata russa è un piatto che ha attraversato epoche, confini e cucine, adattandosi ai gusti locali e rimanendo comunque riconoscibile. Ma qual è la sua vera origine? E perché si chiama “russa” anche se in Russia, oggi, è quasi irriconoscibile?
Non nasce in Italia, ma ci è arrivata molto presto
Nonostante sia entrata da tempo nella tradizione gastronomica italiana — soprattutto in occasione di feste, buffet e ricorrenze familiari — l’insalata russa non è nata in Italia. Le sue origini risalgono alla seconda metà dell’Ottocento e sono legate a un cuoco belga, Lucien Olivier, che lavorava a Mosca.
Siamo in pieno periodo zarista, in un contesto in cui l’aristocrazia russa guarda con ammirazione alla cucina francese. Olivier dirigeva la cucina dell’Hermitage, un ristorante molto rinomato nella capitale. È proprio lì che, intorno al 1860, mette a punto una ricetta che diventerà famosa: un’insalata composta da selvaggina, caviale, uova sode, aragosta e una salsa cremosa a base di aceto, senape e olio.
Un piatto elaborato, pensato per l’alta società, che con il tempo si è trasformato, perdendo gli ingredienti pregiati ma conservando l’idea di fondo: una combinazione di ingredienti tagliati a cubetti e legati da una salsa ricca.
Com’è diventata la “nostra” insalata russa?
Nel corso del Novecento, la ricetta ha subito una semplificazione notevole. In Russia, oggi, viene chiamata Insalata Olivier e include patate, carote, piselli, cetriolini, pollo o wurstel e maionese.
In Italia, invece, è diventata qualcosa di diverso: una preparazione fredda, senza carne, a base di verdure lesse — patate, carote e piselli su tutte — a cui si aggiungono uova sode, a volte tonno o sottaceti, e il tutto viene mescolato con abbondante maionese.
A seconda delle zone, le varianti cambiano. Alcuni aggiungono cubetti di prosciutto cotto, altri includono capperi, olive verdi o funghetti sott’olio. C’è chi la serve liscia e chi la decora con sac à poche e uova tagliate.
L’unico punto fermo, alla fine, è proprio la maionese, elemento chiave che lega tutto e dà al piatto quella consistenza tipica.
Perché si chiama “insalata russa”?
Il nome può trarre in inganno. In effetti, l’origine della denominazione non è chiarissima. C’è chi sostiene che sia un omaggio alle sue radici russe — visto che nasce a Mosca — e chi invece ipotizza che il nome sia stato introdotto in Italia per conferire un tocco di esotismo alla preparazione.
Durante il periodo fascista, poi, il nome fu temporaneamente cambiato in “insalata tricolore” per eliminare il riferimento alla Russia sovietica, ma la dicitura non durò a lungo.
Oggi, nonostante le sue mille interpretazioni, resta ancora “insalata russa” nel linguaggio comune, a dimostrazione di quanto sia radicata nella memoria collettiva.
Oggi: tradizione, rivisitazioni e nuove versioni
Negli ultimi anni, lo stile di consumo è cambiato. Alcuni chef hanno rivisitato l’insalata russa in chiave gourmet, alleggerendo la maionese o sostituendola con mousse più delicate, usando verdure di stagione e impiattamenti più eleganti. C’è anche chi propone versioni vegane, utilizzando alternative vegetali per la maionese, o chi la serve in bicchierini monoporzione per buffet moderni.
Nonostante queste reinterpretazioni, la ricetta classica resta ancora oggi molto amata. E non solo in Italia: dalla Spagna (dove si chiama “ensaladilla rusa”) all’Europa dell’Est, fino a Cuba, questa insalata ha preso strade diverse, ma è riuscita a restare riconoscibile ovunque.
La storia dell’insalata russa è quella di un piatto che ha saputo attraversare i secoli, adattarsi ai tempi e ai gusti, senza mai perdere la sua identità. Da creazione aristocratica servita nei ristoranti di lusso a preparazione familiare legata ai ricordi, continua ad avere un posto speciale sulle nostre tavole.
È una ricetta che cambia con chi la prepara, con ciò che si ha in casa e con l’occasione per cui la si serve. E proprio in questa flessibilità, forse, sta il suo vero punto di forza.